Cosa Leggere nel 2023? L’investitore intelligente – Parte Prima

Nell’articolo precedente abbiamo parlato dell’analisi di una obbligazione societaria.

Il criterio principale per l’analisi e la qualità di un’obbligazione societaria è la capacità di coprire gli interessi totali con gli utili disponibili, in particolare il numero di volte in cui gli utili coprono gli interessi totali, considerando questo esercizio per almeno 7 anni consecutivi o, in alternativa, solo per l’anno più povero.

Ma torniamo alle azioni.

Secondo Benjamin Graham, il “bargain issue” più facile da identificare, è un’azione ordinaria venduta per meno del capitale circolante netto dell’azienda, dedotte tutte le passività.

Significherebbe che l’acquirente non paga nulla per le immobilizzazioni: stabilimenti, macchine, eccetera.

Per capitale circolante netto, qui, si intendono le attività correnti di un’azienda (come liquidità, titoli negoziabili, scorte di magazzino, eccetera) meno le passività totali (incluse le azioni privilegiate e il debito a lungo termine).

Graham consiglia di sfogliare il Wall Street Journal e andare alla sezione Money and Investing. Qui bisogna cercare sulle score card del NYSE e del NASDAQ.

Per scoprire se un titolo è venduto o meno del capitale circolante netto, scaricare o richiedere il più recente rapporto trimestrale o annuale dal sito dell’azienda o dal database EDGAR su www.sec.gov.

Dalle attività correnti dell’azienda, sottrarre le passività totali, comprese le azioni privilegiate e i debiti a lungo termine.

Lo stesso si può fare ovviamente per azioni quotate su altre borse.

Un’azione vale in funzione del cashflow che produrrà in futuro.

Quindi, il price to cashflow, deve essere il più basso possibile. Bisognerebbe fare un’analisi valutando un’azione rispetto a quelle delle società competitor.

In particolare, un’azione va valutata rispetto a:

  1. Book Value;
  2. Fatturato;
  3. Utili;
  4. Cash Flow.

Secondo Graham, ci sono altri criteri da utilizzare (che possiamo riassumere nel conoscere bene un’azienda):

  1. Le prospettive a lungo termine dell’azienda;
  2. La qualità della sua dirigenza;
  3. La sua forza economica e la struttura del capitale,
  4. Lo storico dei suoi dividendi;
  5. Il pay out (la percentuale di utili distribuita agli azionisti sotto forma di dividendi).

Le prospettive di lungo periodo

L’investitore intelligente dovrebbe iniziare scaricando almeno cinque relazioni annuali (Form 10-K) dal sito dell’azienda o dal database EDGAR su www.sec.gov.

Cosa fa crescere questa azienda? 

Da dove vengono (e da dove verranno) i suoi profitti?

Alcuni dei problemi di cui tenere conto sono: 

  1. L’azienda è un «acquisitore seriale». Una media superiore alle due o tre acquisizioni l’anno è segno di potenziali problemi. Dopotutto, se l’azienda stessa preferisce comprare i titoli di altre aziende piuttosto che investire nel proprio, non dovreste dedurne che sia meglio fare lo stesso? Inoltre, controllate le acquisizioni passate dell’azienda. Attenzione alla bulimia: aziende che inghiottono grandi acquisizioni e poi le rivomitano.
  2. L’azienda è dipendente dalla OPM (other people’s money, «soldi altrui»), che raccoglie in gran quantità contraendo debiti o collocando azioni. Queste corpose infusioni di OPM sono etichettate come «liquidità proveniente da attività di finanziamento» nel rendiconto finanziario all’interno della relazione annuale. Possono dare l’impressione che un’azienda in difficoltà stia crescendo anche se il suo giro d’affari non genera sufficiente liquidità.
    Per scoprire se un’azienda è dipendente dalla OPM, leggete il «rendiconto finanziario» nella documentazione rilasciata dall’azienda. È una pagina che analizza i flussi di cassa in entrata e in uscita suddividendoli in «attività operative», «attività di investimento» e «attività di finanziamento.» Se la liquidità derivante dalle attività operative è costantemente negativa, mentre la liquidità che proviene dalle attività di finanziamento è sempre positiva, vuol dire che l’azienda ha l’abitudine di aver bisogno di più liquidità di quanta riesca a produrne: saprete quindi che non vi conviene contribuire a fornirgliela. 
  3. L’azienda trae gran parte del suo fatturato da un solo cliente o da pochi clienti.

Esaminando le fonti di crescita e profitto, state all’erta per cogliere i segnali positivi oltre a quelli negativi. Ecco alcuni punti a favore: 

  1. L’azienda ha un largo «fossato», o vantaggio competitivo. Come i castelli, alcune aziende possono essere facilmente invase da un esercito di competitor, mentre altre sono quasi inespugnabili. Diverse forze possono allargare il fossato di un’azienda: una forte brand identity; un monopolio o quasi-monopolio sul mercato; le economie di scala, ovvero l’abilità di fornire a buon mercato enormi quantità di beni o servizi (pensiamo a Gillette, che sforna lamette a miliardi); un particolare asset intangibile (pensiamo a Coca-Cola, la cui formula segreta per la bevanda non ha un valore fisico concreto ma ha un effetto preziosissimo sulla mente dei consumatori); una resistenza alla sostituzione (quasi tutte le aziende non hanno alternative all’elettricità, quindi le utility resteranno molto difficili da soppiantare nel prossimo futuro).
  2. L’azienda è un maratoneta, non uno sprinter. Consultando i conti economici degli ultimi dieci anni potete scoprire se il fatturato e gli utili netti sono cresciuti con continuità e costanza. Un recente articolo sul Financial Analysts Journal ha confermato i risultati di altri studi le aziende che crescono più in fretta tendono a surriscaldarsi e a bruciarsi. Se gli utili crescono a un tasso a lungo termine del 10 per cento al lordo delle imposte (6-7 per cento netto), possono essere sostenibili. Ma l’obiettivo di crescita del 15 per cento che molte aziende si prefiggono è illusorio. E un tasso ancora più alto – o un improvviso scatto di crescita in un anno o due – quasi sicuramente durerà poco, come un maratoneta poco esperto che cerca di correre tutta la gara come se fossero i cento metri. 
  3. L’azienda semina e raccoglie. Non importa quanto siano buoni i suoi prodotti o quanto siano potenti i suoi brand, un’azienda deve investire un po’ di soldi per sviluppare il suo giro d’affari. Nel lungo periodo, un’azienda che non spende in R&D è almeno altrettanto vulnerabile di una che spende troppo. 

La qualità e la condotta della dirigenza

I dirigenti di un’azienda dovrebbero dire cosa faranno e poi fare quello che hanno detto. Leggete le relazioni degli anni passati per vedere quali previsioni sono state fatte e se sono state rispettate. I dirigenti dovrebbero ammettere sinceramente i loro errori e assumersene la responsabilità, anziché far ricadere la colpa su capri espiatori come «l’economia», «l’incertezza» o «un calo della domanda».

Controllare l’option overhang (che sia il più basso possibile) nella relazione finanziaria annuale.

Il «Form 4», disponibile tramite il database EDGAR su www.sec.gov, mostra se gli alti dirigenti e i membri del Cda di un’azienda hanno comprato o venduto azioni. 


Iniziate leggendo il rendiconto finanziario nel bilancio annuale dell’azienda. Scoprite se la la liquidità ottenuta con le attività è cresciuta in modo costante negli ultimi dieci anni. A quel punto potete andare avanti. 

Warren Buffett ha diffuso il concetto di «owner earnings» ovvero l’utile d’esercizio netto più ammortamenti e svalutazioni, meno le spese ordinarie in conto capitale. 

Poiché tengono conto di voci contabili come ammortamenti e svalutazioni, che non influenzano i saldi di cassa dell’azienda, gli owner earnings possono essere un’unità di misura migliore dell’utile netto dichiarato. Per ottimizzare la definizione di owner earnings occorre anche sottrarre dell’utile netto: 

  1. Tutti i costi legati all’emissione di stock options, che distolgono gli utili dagli azionisti esistenti e li mettono nelle mani di nuovi «proprietari interni». 
  2. Qualsiasi spesa «insolita», «non ricorrente» o «straordinaria». 
  3. Qualsiasi «reddito» dal fondo pensionistico dell’azienda. 

Se gli owner earnings per azione sono cresciuti in modo regolare di almeno il 6-7 per cento l’anno negli ultimi 10 anni, l’azienda è uno stabile generatore di liquidità e le sue prospettive di crescita sono buone. 

Poi analizzate la struttura di capitale dell’azienda. Leggete il bilancio per vedere quanto debito ha l’azienda (comprese le azioni privilegiate); in generale, il debito a lungo termine dovrebbe essere sotto il 50 per cento del capitale totale. Nelle note a piè di pagina delle relazioni finanziarie, individuate se il debito a lungo termine è a tasso fisso (con pagamenti costanti degli interessi) o variabile (con pagamenti che fluttuano, e che potrebbero diventare costosi se aumentano i tassi). 

Storico dei Dividendi e Payout

L’onere della prova spetta all’azienda, che deve mostrarvi che vi conviene se non vi paga i dividendi. Se l’azienda ha costantemente sovraperformato la concorrenza nei mercati buoni e in quelli cattivi, i dirigenti stanno evidentemente usando bene la liquidità che hanno a disposizione. Se invece l’azienda va male o il titolo non è performante, vuol dire che i dirigenti e il suo consiglio d’amministrazione usano male quei contanti che derivano dal rifiuto di pagare un dividendo.
Evitate le aziende che frazionano ripetutamente le azioni.

Aggiungi Commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono indicati con un *